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Regalati un nuovo passato

Per il 2019 regalati un nuovo passato.

Puoi utilizzare una funzione del cervello chiamata neuroplasticità e usarla a tuo favore. Non potrai cambiare gli eventi negativi della tua vita, ma modificare l’interpretazione che dai loro da anni e forse decenni, alla quale reagisci sempre nel medesimo modo. Ovvero sentendoti ferito e limitato da quegli eventi anche nel presente e nel futuro. Prova invece per esempio a capire quali qualità hai sviluppato grazie a quegli eventi e che ruolo hanno avuto nel condurti alle tue scelte e ai tuoi successi. Li potrai allora ricollocare nello story telling della tua vita in una nuova posizione e soprattutto con un nuovo significato. E mentre lo farai sperimenterai una trasformazione straordinaria: passerai dalla posizione di vittima a quella di artefice del tuo destino. Se riuscirai a fare anche una piccola parte di questo percorso di revisione creativa ti regalerai un nuovo passato e con quello creerai il futuro che desideri.

Buon Anno!

Il Regalo Nascosto nel Natale

C’è un regalo nel Natale che quasi mai viene scartato e rimane ogni anno ignorato sotto l’albero. E’ un regalo strettamente legato al significato più profondo di questa notte che forse ci permette di cogliere gli aspetti più simbolici e autenticamente umani di questa ricorrenza. Vediamo insieme come. Nella tradizione Cristiana del Natale, Dio manda suo figlio Gesù nel mondo per dare l’opportunità agli uomini di riscattarsi dal “peccato originale”, dando inizio sulla terra a una nuova era di amore, perdono e consapevolezza. Il Vecchio Testamento ci racconta infatti, che i nostri poveri e ignari progenitori, Adamo ed Eva, invece che godere del dono di tutta la divinità che Dio aveva loro concesso creandoli a Sua immagine e somiglianza e mettendo a loro disposizione l’intero paradiso terrestre, commettono l’imperdonabile leggerezza di disobbedire all’unica prescrizione ricevuta, che era quella di astenersi dal mangiare il frutto dell’albero della Conoscenza, a Lui riservato. Il prezzo di questa disobbedienza è la cacciata dei due poveretti dal Paradiso Terrestre e la conseguente caduta nel mondo materiale. Adamo, Eva e i loro discendenti, la progenie umana, precipitano letteralmente nelle limitazioni e nel dolore della vita corporea. Ma la loro peggiore condanna sarà l’ignoranza della loro origine Divina, accompagnata da una eterna nostalgia del paradiso perduto. In termini simbolici la caduta dal Paradiso rappresenta dunque la momentanea separazione dalla nostra natura Divina. La sofferenza degli esseri umani sta tutta nell’incapacità di riunire la conoscenza e l’esperienza del mondo materiale con la loro dimensione trascendente e spirituale, della quale dimenticano perfino l’esistenza. Da qui l’origine del loro sentirsi perennemente incompleti e insoddisfatti e di una condizione di sofferenza che accompagna l’intero ciclo dell’esistenza. Cosa succede a questo punto? Dopo migliaia di anni, quando questa sofferenza arriva all’insopportabilità, ecco che Dio decide di offrire al genere umano una straordinaria opportunità riparativa. E per farlo manda sulla terra una parte di Sé, suo figlio Gesù, detto appunto ‘Il Salvatore’, un essere che sarà umano e Divino a un tempo, venuto per risvegliare negli uomini il ricordo e la consapevolezza della loro origine. Gesù testimonierà in seguito agli attoniti esseri umani la loro natura spirituale, per troppo tempo rimasta estranea alla loro coscienza. Attraverso la sua testimonianza di vita, l’amore si esprime nel suo significato più alto, che è il risveglio della capacità riparativa, un dono che gli uomini sembrano aver dimenticato per l’impossibilità di assumere la responsabilità dei loro peccati e delle loro colpe. Gesù è capace di perdonare e lo dimostra in più occasioni. Ma soprattutto invita gli uomini a perdonare se stessi e rinascere in una nuova dimensione spirituale. Il Natale è dunque l’occasione per comprendere la nostra origine divina e riscoprire quanto di spirituale c’è da sempre in ognuno di noi. E questo è il regalo più grande che possiamo fare a noi stessi nel corso di questa ricorrenza, indipendentemente dell’appartenenza a questa o a quella religione, ricordando che le nostre  capacità di amare, riparare, perdonare sono intatte dentro di noi. E che solo così possiamo dare un senso profondo alla nostra esistenza e al nostro passaggio su questa terra.

Buon Natale

La Festa dei Morti

regali-bambiniOggi 2 novembre è la ricorrenza in cui si celebra il ricordo dei nostri cari defunti. In tutti i cimiteri d’Italia, seppure nel rispetto della sacralità di quei luoghi, sembra una festa, un ritrovarsi in un rituale collettivo denso di umanità e significato. Un’enorme quantità di fiori colorati cominciano a ornare le tombe modificando l’aspetto consuetamente sobrio dei cimiteri, mentre intere famiglie con anziani, genitori e tanti bambini si aggirano per i viali alberati di cipressi e piante sempreverdi, come in un parco. La ricorrenza mi riporta a qualcosa che accadeva e chissà, forse accade ancora, il 2 novembre in Sicilia, dove sono nato e cresciuto. A quell’epoca, per tutti i bambini, il giorno dedicato ai morti era un giorno molto atteso. Una vigilia di eccitazione e di autentica gioia, paragonabile alla notte di Natale o al giorno della Befana. In quel giorno, o meglio in quella notte, infatti, i nostri cari morti sarebbero tornati a trovarci. Ed ecco come si svolgeva il rituale. La sera del primo novembre bisognava apparecchiare la tavola con tanti posti quanti erano i cari scomparsi. La tavola veniva imbandita a festa e con cura speciale per gli invitati, con cibi e bevande in abbondanza. E poi, controllato che tutto fosse perfetto, si andava tutti dormire. La mattina dopo noi bambini saltavamo giù dal letto e correvamo alla tavola imbandita dove puntualmente, sgranando gli occhi per la sorpresa, trovavamo piatti sporchi, tovaglioli spiegazzati, briciole e bicchieri di vino mezzi vuoti. Segno che i nostri cari, tornati dall’aldilà, avevano gradito la cena e che, ancora una volta, l’invito era stato accettato. Ma soprattutto al centro della tavola troneggiavano dei bellissimi regali ben confezionati che i nostri morti non mancavano mai di lasciare come ringraziamento ai bambini per quelle attenzioni tanto speciali. I nostri genitori, autori occulti dell’artificio, ci educavano così in modo magico e un po’ ludico ad imparare che i nostri morti, anche se non ci sono più fisicamente, non ci abbandonano, continuano a vivere nel nostro ricordo, pensano a noi con amore e ci premiano e ringraziano per non averli dimenticati. Questo rito assolveva però anche a una funzione ben più importante: quella di educarci ad un rapporto più sereno e anche giocoso con la morte, evitando quello che accade oggi nelle nostre società industrializzate e materialiste in cui non c’è tempo per pensare a queste cose. Oggi, infatti, la morte, così come la dimensione della malattia, sono allontanate da ogni rappresentazione e scomparse dalla realtà, in un malsano tentativo di rimozione collettiva. Salvo puntualmente irrompere in modo scioccante, proprio a causa di questa rimozione e impreparazione, con esiti traumatici e disastrosi. L’illusione di separare la vita dalla morte che ci accompagna ogni giorno è uno dei mali di questa nostra epoca. Il tentativo di rimuovere una semplice verità fallisce puntualmente e miseramente ogni volta che la vita ci porta in contatto con un lutto, anche quando come, nel caso di persone anziane, è naturalmente atteso. Ma il peggio è che non ci è consentita una sana e naturale elaborazione di queste separazioni perché, seppellito il congiunto, l’amico, il conoscente, tutto deve riprendere come prima senza disturbare e interrompere i ritmi dettati dalla produttività. E la rimozione è alla base di questo nuovo e insensato atteggiamento collettivo. Dunque via il pianto dei parenti e degli amici ricacciato in gola come segno di debolezza e inadeguatezza sociale. Via i manifesti e i necrologi, via i segni del lutto, via la sospensione di quei pochi giorni dalle cose ordinarie della vita, necessari a ripassare la nostra relazione con la persona che non c’è più, indispensabile per introiettare ciò che lascia in noi e che durerà per sempre. E soprattutto via la possibilità, per chi ci vuole bene, di abbracciarci, accudirci e consolarci in un modo speciale, mettendo per qualche giorno il nostro dolore al centro dell’attenzione di tutti perché venga amorevolmente accolto e curato. Chi subisce un lutto si ritrova così doppiamente solo perché portatore di una ferita che il mondo non vuole accogliere. Tutte le società per millenni hanno elaborato forme e rituali individuali e collettivi per lenire le ferite di chi resta e prosegue il cammino nell’esperienza della vita. Le diverse convinzioni di “vita oltre la morte” che vengono dalle filosofie e dalle religioni assolvono pienamente a questo scopo, indipendentemente da una impossibile prova. Ma di tutte le epoche la nostra è sicuramente la più insensata e inadeguata ad accogliere un evento semplice, naturale, inevitabile, che fa parte della vita stessa, e che alla fine, volenti e nolenti, riguarda tutti e tutto ciò che vive in questo universo. Ma la cui funzione e bellezza sta proprio nel conferisce alla vita stessa senso e valore.

La paura di realizzare sé stessi e vivere pienamente

Uno dei più bei miti dell’antica Grecia è il mito di Icaro. Ricordiamolo brevemente. Nell’isola di Creta il re Minosse aveva chiesto a Dedalo di costruire un labirinto per imprigionare il mostruoso Minotauro, un essere metà uomo e metà Toro. Alla fine della costruzione, temendo che Dedalo ne potesse rivelare il segreto, Minosse lo imprigiona nel suo stesso labirinto, insieme al figlio Icaro. Dedalo non si rassegna a quella ingiustizia e, per fuggire dal labirinto, costruisce delle ali di piume e cera con le quali lui e il figlio si librano in volo. Malgrado gli avvertimenti del padre di non volare troppo in alto, Icaro si lascia prendere dall’ebbrezza della libertà e, avvicinandosi troppo al sole, non si accorge che il calore dei raggi scioglie la cera che tiene insieme le piume. Così precipita in mare perdendo la vita. Questo mito sembrerebbe contenere un monito che ci invita a non osare troppo, suggerendoci che sia allora più conveniente e confortevole rimanere prigionieri nel labirinto della nostra mente, delle continue preoccupazioni, delle convinzioni negative e limitanti su noi stessi, sugli altri e sulla realtà. Se solo pensiamo di renderci liberi, realizzando noi stessi e vivendo pienamente la nostra vocazione e la nostra natura, c’è sempre il rischio di precipitare in una condizione peggiore della precedente. Quindi spaventati dal ricordo di quello che è accaduto al povero Icaro, che precipita per aver osato volare troppo in alto, ce ne restiamo buoni e rassegnati nella nostra piccola comfort zone, barattando la vita con un po’ di false sicurezze. Ma perché invece che prefigurare scenari catastrofici, non trarre ispirazione e coraggio da Dedalo, il vero protagonista ed eroe di questa storia, che utilizzando la propria saggezza e le proprie conoscenze, prima imprigiona il mostruoso Minotauro, ovvero l’uomo in cui prevalgono la parte animale e gli istinti bestiali. E poi riesce nell’impresa di fuggire dal labirinto e dal tiranno che ha provato a rinchiuderlo? Il mito non prefigura mai nessuna conclusione. Spetta come sempre a noi stessi di decidere a quale dei suoi personaggi preferiamo ispirarci.

Siamo della materia di cui son fatti i sogni

“C’è tanta gente che ha un bel dire nel vantarsi di essere realista, concreta, razionale. Se con questi parli di realtà immateriali, sorridono. Ma la verità è che la stragrande maggioranza della nostra vita è immateriale ed è quella che si svolge ogni giorno nella nostra mente. Se pensi a quanto tempo passiamo immersi nei nostri pensieri, nel nostro ininterrotto dialogo e chiacchiericcio interiore. Di tutta quella vita ben poco trapela nel cosiddetto mondo reale e diventa visibile per chi ci circonda. E’ divertente quando mi trovo a parlare, con certi medici allopatici, di cure alternative. E vedo apparire quel sorrisetto di sufficienza sulla loro facce. Loro credono a ciò che vedono: la realtà scientifica dei dati misurabili e ripetibili. Ma se chiedo loro di dirmi che cosè un semplice pensiero, che colore ha, quanto pesa, di cosa odora, a che velocità si sposta nello spazio, dove nasce e quando muore, non sanno più cosa dire. Cosa resta del loro pensiero scientifico se levo loro i pensieri? Anche loro ormai sanno quanto anche il più elementare processo di guarigione, per esempio da una banale influenza, possa essere influenzato dalla nostra volontà di guarire, dalla fiducia che riponiamo nel nostro medico o nei farmaci che assumiamo. Fiducia, volontà, dimmi di cosa sono fatte e di cosa stiamo parlando. Pensa a come le emozioni, o i sentimenti che provi, possono orientare e perfino determinare le tue scelte. Pensa a cosa ha potuto creare l’amore di tua madre per te, il tuo provare entusiasmo per un progetto o un incontro che ti aspetta, sentire dentro di te la spinta potente di un ideale da seguire. Allora devi riconoscere che tutto quello che fai nella vita, nello spazio e nel tempo, tutta la realtà materiale che vedi e che vivi, è fortemente influenzata da una realtà immateriale dalla quale tutto nasce. Il mondo che ci circonda, le strade, le case, le auto, Internet, Facebook, questo gruppo, gli aerei e perfino i satelliti, tutto prima di diventare reale è stato sognato o immaginato da qualcuno. Allora cerca di fare buon uso di queste nuove conoscenze. Per esempio pensando alla vita e al futuro con maggiore fiducia e ottimismo. Cercando di capire che le tue convinzioni negative, le preoccupazioni, le paure che ti accompagnano per tutto il giorno, limitano le tue potenzialità di vivere la vita che desideri. Nello stesso modo coltivare convinzioni, pensieri ed emozioni positive può regalarti davvero una vita più bella piena e degna di essere vissuta. Limita dunque la presenza delle convinzioni negative nella tua mente. E dai invece più fiducia a te stesso/a e più spazio ai tuoi sentimenti, alle tue emozioni e soprattutto ai tuoi sogni. Perché è proprio così facendo che hai ottime possibilità che si realizzino davvero.

Tratto da La Felicità sul Comodino, Tea Edizioni, 2018

Tu non sei un pesce

Il nostro universo è regolato da due leggi che non troverai nei libri di fisica, ma se le conosci e ne terrai conto la tua vita migliorerà istantaneamente. La prima legge è che l’universo ha una natura dualistica. Cosa ti dice questa legge? Dice che niente esisterebbe per te se non esistesse il suo opposto. Chiedi a un pesce cos’è l’acqua. Anche se potesse parlare non saprebbe risponderti. Il pesce non sa di essere bagnato perché non ha la più pallida idea di cosa voglia dire essere asciutto. Invece tu, che non sei un pesce, tutto ciò che conosci lo devi al fatto che conosci il suo opposto. Sai cos’è la luce, perché conosci il buio. Sai cosè il caldo, perché conosci il freddo. Sai cos’è l’odio, perché conosci l’amore. Sai cos’è la guerra perché conosci la pace. Sai cos’è la malattia perché conosci la salute. Dunque non c’è niente che possa esistere per te se non esistesse il suo contrario. Ma queste separazioni sono solo un artificio. Sono solo il modo con cui la tua mente fa esperienza del mondo. La luce e il buio, per esempio, sono inseparabili. Quando tu sei immerso nella luce del giorno, il buio non cessa di esistere. Avvolge la parte opposta del pianeta. E da qualche parte, queste due realtà sono attaccate tra loro, digradano l’una nell’altra, senza soluzione di continuità. Dunque, nonostante la nostra mente percepisca solo una cosa per volta, c’è un’unica realtà, che si manifesta attraverso due aspetti complementari e inseparabili.
La seconda legge è quella dell’impermanenza. Questa legge è più facile da capire. Dice semplicemente che nella vita tutto cambia costantemente e niente dura per sempre. Perfino nel tuo corpo tutto cambia. Le cellule che lo compongono muoiono costantemente e vengono sostituite da nuove cellule a ogni istante. Nel giro di pochi giorni tutte le cellule del tuo corpo moriranno e saranno sostituite da nuove cellule. Dunque per certi versi, almeno dal punto di vista fisico, nemmeno tu sei più la stessa persona del giorno prima.
A che ti serve sapere tutto questo? Semplice! Queste due leggi sono direttamente connesse con la tua felicità. La prima, quella del dualismo, ti dice che se tu eliminassi dalla tua vita le cose negative, dolorose, tristi, non proveresti più niente di positivo, piacevole e non potresti mai più essere felice. La seconda, quella dell’impermanenza, ti dice che quando stai male, anche molto male, non sarà per sempre. Ti dice che quel male da qualche parte è attaccato al bene. Per la legge dell’impermanenza è destinato a passare. Per quella del dualismo è destinato a lasciare il posto al suo contrario. Questa è la vera natura dell’universo. Impara presto le regole del gioco così potrai partecipare attivamente e non solo subirle. Più grande sarà la tua conoscenza, maggiore sarà la tua consapevolezza. E la capacità di fare il surf sulle onde della vita.

Da “La Felicità sul Comodino” di Alberto Simone – Tea Edizioni, 2018

L’Infelicità è una cattiva abitudine

Mi occupo di felicità da molti anni e in modi diversi, prima di tutto come psicologo, poi come artista e infine come ricercatore. Occuparsi di felicità vuol dire in primo luogo conoscere bene e profondamente il suo opposto. E quello che ho scoperto studiando perchè le persone sono spesso infelici, frustrate o depresse, (il che purtroppo ormai riguarda soprattutto il mondo occidentale che vive i più elevati livelli di comfort e benessere) non è relativo ad eventi oggettivi, ma alla modalità con cui noi rispondiamo agli eventi negativi che ci accadono o ci circondano. Quando rispondiamo negativamente ad eventi negativi, la causa non è nella nostra volontà di farci del male, ma negli apprendimenti causati da eventi sfavorevoli accaduti nella nostra vita, che hanno creato una sorta di risposta automatica o una personalità reattiva. Questa personalità, questo Avatar che vive insieme al nostro vero sé, trova scontata e naturale la risposta di infelicità, frustrazione o depressione che, si è abituata a dare alle circostanze. Per semplificare posso dirvela cosí: l’infelicità è una cattiva abitudine. Punto. La buona notizia e che gli esseri umani sono le uniche creature in questo universo capaci di auto-osservazione e quindi consapevolezza, oltre che di libero arbitrio, ovvero la capacità di decidere la direzione dei propri pensieri, dei propri sentimenti, delle proprie emozioni e delle proprie azion, praticamente rispetto a ogni cosa. Ricercare la felicità invece che indulgere nell’infelicità, nel vittimismo, nell’impotenza, nella frustrazione e nella depressione, è quindi più un’attitudine che si può apprendere e conquistare come qualsiasi altra cosa che è nelle nostre facoltà umane. Naturalmente questo non è un processo automatico. Non mi accontenterò di una tua opinione in proposito. Se vuoi perdere peso devi iniziare una dieta, se vuoi un corpo più atletico devi sottoporti a lunghe e costanti sedute di attività fisica. Dunque, per essere una persona diversa da quella che sei, soprattutto se sei spesso infelice, frustrato o depresso, devi fare la stessa cosa: applicarti nel cambiamento e capire che hai sempre una scelta. Naturalmente il tuo Avatar, la tua personalità reattiva, non vorrà saperne di uscire di scena e lasciare il campo a un TE diverso, fiducioso, positivo, grato e ottimista anche di fronte a cause avverse. E quindi protesterà affermando che sei una vittima delle circostanze e che ci sono cose nella vita dalle quali non si può sfuggire e che sei “costretto” a provare quello che provi. Troverà mille motivi per resistere e giustificare a te e al mondo le ragioni oggettive della tua infelicità. Purtroppo devo smentirti per il tuo stesso bene. Ho conosciuto persone che hanno reagito in modo sorprendente perfino a lutti e tragedie inimmaginabili, trovando in questi eventi, non auspicabili, un punto di svolta nelle loro esistenze. Puoi farlo anche tu, in qualsiasi momento. Ma ricordati che dovrai essere persistente come un atleta. Fino a quando perderai l’abitudine di essere quello che non ti piace.

La Casa in cui Nasciamo

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C’è qualcosa che gli ultimi cento anni di psicoanalisi, psicologie e psicoterapie ci hanno dimostrato fin troppo chiaramente. Nasciamo tutti in una situazione imperfetta. Ci sono accoglienze e mancanze. Spesso più mancanze. Arriviamo in una casa metaforica più o meno accogliente, quasi sempre danneggiata, a volte gravemente danneggiata e forse, in quel momento, incapace di accoglierci davvero. Di solito, per la prima parte della vita, la facciamo franca. Non ci accorgiamo degli spifferi, delle mura lesionate o di un tetto che fa acqua. Siamo così pieni di vita, di ingenuità, di purezza autentica. Tutto ci appare assolutamente naturale. Non siamo in grado di percepire cosa sta avvenendo in noi a causa dei danni nella casa in cui abitiamo. Non abbiamo termini di paragone e c’è una forza difficilmente contrastabile da qualunque evento: la potenza della vita che pretende di esprimersi attraverso la nostra crescita il nostro sviluppo. La vita che è gioco. Il futuro, che è come un oceano infinito dove tutto sarà possibile. Poi usciamo dalla nostra casa e cominciamo a capire che non siamo tutti uguali, che c’è qualcosa di diverso e di specifico in noi. Perché il confronto con gli altri è la prima vera occasione per conoscerci. La nostra adolescenza, il momento più difficile. Le conseguenze di quegli spifferi, della mancanza di sicurezza e di protezione, cominciano a farsi sentire nella nostra emergente e fragile identità. Gli altri, i nostri compagni, sono lo specchio deformante nel quale ci guardiamo e rispetto al quale definiamo il nostro valore. E comincia anche il nostro modo di reagire. O ci sentiamo come la nostra casa, un po’ fragili, difettosi, incompleti, oppure la rifiutiamo del tutto, inventandocene una su misura, più funzionale, ma del tutto immaginaria. Finalmente adulti, in un modo o nell’altro, arriva il momento di scegliere. Dimenticare non funziona. Ma nemmeno identificarci con quelle mancanze e quei danni è una soluzione. Possiamo scegliere di vivere nel rancore, pretendere un infinito risarcimento per le ferite e gli insulti, per ciò che non ci è stato dato. Cercare il riscatto o la vendetta per i nostri bisogni traditi. Conquistare sempre più forza e potere. Iniziare a costruire nuove case, fortificate, impermeabili al dolore, alle emozioni e ai ricordi, inespugnabili. Queste scelte però si rivelano poco efficaci. Richiedono prezzi sempre maggiori, tributi sempre più onerosi. E non ci rendono felici che per pochi istanti. Le conseguenze sulla nostra vita e su quella di chi ci sta vicino sono quasi sempre dolorose. Nonostante i nostri successi sentiamo dentro di noi un’insoddisfazione crescente. Durante il cammino, ma soprattutto in fondo alla strada, ci aspettano infelicità e solitudine. Allora, volendo, si può cambiare strada, forse si può trovare una soluzione più efficace. Invece di dimenticare o andare il più lontano possibile, proviamo a tornare indietro per un tratto di strada, proviamo a conoscere meglio quella vecchia casa dove siamo nati. Tornare spesso fa male, ma quasi sempre si scopre che ciò che nei ricordi sembrava così grande in realtà è molto più piccolo ora che anche noi siamo cresciuti. Ciò che appariva terribile in realtà possiamo affrontarlo senza troppo sforzo. Conosciamo la nostra forza e le nostre risorse. Scopriamo una inconfutabile verità su noi stessi. Che in verità siamo stati in grado di resistere a ogni offesa, a ogni danno e a tutte le intemperie. Scopriamo addirittura che molte delle nostre qualità, delle nostre risorse attuali, sono state create in noi proprio dai difetti e dalle mancanze di quella casa. Possiamo allora cercare di conoscerla meglio. Capire perché fosse così malandata, accettare che, con tutti i suoi problemi, ha cercato di proteggerci come ha potuto, che non ci è estranea e che può accoglierci ancora tutte le volte che ne abbiamo bisogno. Possiamo anche volerle un po’ di bene e iniziare con pazienza a riparare i danni che abbiamo trovato e che ora sono presenti indissolubilmente dentro di noi. E in questo sforzo di riparazione scopriamo la nostra creatività. Diventiamo consapevoli di poter riparare ogni danno, ogni offesa, ogni insulto. E una volta compresa questa risorsa, che dentro di noi è infinita, nulla può farci più paura. E siamo in grado di costruire la nostra nuova vera casa futura, che somiglierà anche un po’ a quella che ci ha accolto e nella quale siamo cresciuti. Ma che ha meno problemi, difetti, mancanze. E che anche se non è perfetta un po’ ci somiglia. E ci piace così come l’abbiamo saputa edificare ed arredare. Luminosa, spaziosa e accogliente. Pronta per ospitare e mostrare la parte migliore di noi stessi e renderla disponibile e accessibile a chiunque lo voglia. Perché quella casa, ora, siamo noi, davvero.

Trasforma ciò che non ti piace

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Una pietra, una pianta, un animale, possono esistere ma non hanno la facoltà e il potere di elaborare un progetto di trasformazione della realtà in cui vivono. Questa facoltà in questo universo è stata riservata soltanto agli esseri umani ed è uno dei doni più grandi che sia stato loro concesso, rendendoli di fatto co-creatori di questo universo e assimilandoli a creature Divine. Ma la maggior parte di essi non sembra comprendere di avere un potere così grande e non sa cosa farsene. Le migliori energie si consumano quotidianamente nel solo tentativo di adattamento a una realtà spesso subita e quasi mai condivisa. La colpa per quello che non funziona viene quasi sempre attribuita a qualcun altro e cosí la responsabilità di cambiare quello che non va, riservando a se stessi solo il diritto dei lamentarsi senza sosta, restandosene in attesa che qualcosa accada. Eppure basterebbe davvero cosí poco per fare cosí tanto, nel modo più naturale possibile e alla portata di tutti. Vedere il mondo come è e immaginare come dovrebbe essere è un esercizio semplice, a cui non dovremmo mai rinunciare. C’è cosí tanto da fare e se ognuno facesse la sua parte non avremmo un mondo in cui pochissimi decidono ogni giorno per la vita di tutti. E quasi sempre non si tratta di decisioni orientate al bene comune, ma piuttosto alla soddisfazione di interessi particolari, economici o politici poco importa. Pensa invece a te stesso come qualcuno che può osservare la realtà, comprenderla, capire dove e cosa si dovrebbe cambiare per poter migliorare e condividere con altri la propria visone ed essere utile. Con questo sguardo nuovo, da protagonista e non da spettatore, puoi cominciare a trasformare un pò alla volta quello che non ti piace in te stesso, nella tua vita, nella tua famiglia, nel palazzo o nel quartiere dove vivi, nella tua città, nel tuo Paese e perfino nel mondo, smettendola di attraversare la vita come una comparsa senza alcun potere ed alcun ruolo, ma come parte attiva e responsabile di una comunità. Non esistono persone con poteri speciali che debbano occuparsi di questo. Ognuno può farlo, offrendo ciò che può nell’ambito che gli è più congeniale, nel modo più rispettoso delle proprie qualità e della propria natura. Ma sentendo che questo dà valore e significato alla propria esistenza. Chiunque abbia progettato questo universo ha dato all’uomo questa capacità e gli ha lasciato la possibilità di trasformare la propria realtà. E nonostante i tempi che attraversiamo, a me piace pensare che questo sia avvenuto per realizzare un progetto evolutivo e creativo e che i tanti errori e la distruttività umana, che pure esiste, siano solo una modalità nella quale trovare la spinta per una trasformazione sempre più positiva ad ogni ciclo. Mi piace credere che il cammino dell’umanità sia proprio quello di completare e realizzare non solo società prospere e pacifiche, ma la creazione di un mondo Divino, in cui l’amore e il rispetto tra le persone non siano solo concetti astratti, ma condizioni per realizzare il migliore dei mondi possibili. Questa è da sempre l’ambizione dei grandi sognatori e di tutti coloro che hanno contribuito significativamente all’evoluzione del pensiero e della condizione umana. Ma indipendentemente dalle idee di ciascuno, posso assicurarti che solo onorando il dono di poter cambiare la realtà si rende davvero unica e significativa la nostra vita, nel breve tempo che ci è concesso di esistere in questo universo

Che cos’è che chiamiamo realtà

Prima o poi dovremo trovare una nuova definizione di realtà, o perlomeno riconoscere che ciò che comunemente definiamo “reale” risulta largamente deficitario. In una scala che parte dal microcosmo e arriva al macrocosmo, o viceversa, la nostra percezione di realtà occupa un segmento infinitesimale. Tutto il resto è fuori dalle nostre possibilità percettive e sensoriali. Con enorme sforzo possiamo allargare il nostro limitato tentativo di consapevolezza con l’ausilio di strumenti che, per quanto sviluppati e accurati, convoglieranno sempre le loro risultanze nell’angusto spazio dei nostri sensi. In questo senso noi ci rendiamo conto del nostro mondo non più di quanto possa fare una formica rispetto all’esistenza di stelle, pianeti e polvere cosmica. E alla luce delle attuali conoscenze è ormai azzardato stabilire che il nostro sia il solo universo possibile. La fisica quantistica ci offre oggi una visione del tutto nuova rispetto a un passato recente in cui le sole leggi regolatrici dell’universo erano quelle della fisica Newtoniana. Il modo in cui noi “pensiamo” noi stessi è sicuramente influenzato da ciò che sappiamo di noi. Da questo punto di vista la scoperta che oltre un certo limite dimensionale la materia non appare più a chi la osserva come tale, ma possa essere considerata energia pura, visibile a volte come “particelle” a volte come “onde”, sconvolge e stravolge inevitabilmente anche l’idea fisica di noi stessi, che di quella stessa energia siamo composti. Che idea della realtà ne viene fuori? Siamo un nulla, che vibra intorno a una sostanza infinitesimale, un nulla organizzato in una forma i cui confini sono altrettanto incerti, dal momento che non esiste alcuna interruzione o intervallo tra la vibrazione che definiamo “noi” e quella di tutto ciò che ci circonda. Tutto questo è difficile da comprendere e metabolizzare per la nostra mente. Ma ciò non di meno è tanto affascinante quanto reale. E la sua comprensione sarà cruciale per gli anni a venire. Perché se noi siamo energia, così come l’universo con cui siamo totalmente interconnessi, è anche vero che viviamo confinati negli angusti spazi della nostra mente e della concezione di universo che ci è comprensibile e familiare. Diversi secoli fa Newton scopriva l’esistenza della forza di gravità e poteva descriverla anche attraverso un’equazione matematica. A quella equazione dobbiamo oggi la nostra capacità di volare con aerei, elicotteri, astronavi. Allo stesso modo quando scopriremo le leggi che regolano l’energia di cui noi e il nostro universo siamo composti potremo utilizzare quelle leggi anche per trascendere quelle del mondo fisico, dello spazio e del tempo.