La Festa dei Morti

regali-bambiniOggi 2 novembre è la ricorrenza in cui si celebra il ricordo dei nostri cari defunti. In tutti i cimiteri d’Italia, seppure nel rispetto della sacralità di quei luoghi, sembra una festa, un ritrovarsi in un rituale collettivo denso di umanità e significato. Un’enorme quantità di fiori colorati cominciano a ornare le tombe modificando l’aspetto consuetamente sobrio dei cimiteri, mentre intere famiglie con anziani, genitori e tanti bambini si aggirano per i viali alberati di cipressi e piante sempreverdi, come in un parco. La ricorrenza mi riporta a qualcosa che accadeva e chissà, forse accade ancora, il 2 novembre in Sicilia, dove sono nato e cresciuto. A quell’epoca, per tutti i bambini, il giorno dedicato ai morti era un giorno molto atteso. Una vigilia di eccitazione e di autentica gioia, paragonabile alla notte di Natale o al giorno della Befana. In quel giorno, o meglio in quella notte, infatti, i nostri cari morti sarebbero tornati a trovarci. Ed ecco come si svolgeva il rituale. La sera del primo novembre bisognava apparecchiare la tavola con tanti posti quanti erano i cari scomparsi. La tavola veniva imbandita a festa e con cura speciale per gli invitati, con cibi e bevande in abbondanza. E poi, controllato che tutto fosse perfetto, si andava tutti dormire. La mattina dopo noi bambini saltavamo giù dal letto e correvamo alla tavola imbandita dove puntualmente, sgranando gli occhi per la sorpresa, trovavamo piatti sporchi, tovaglioli spiegazzati, briciole e bicchieri di vino mezzi vuoti. Segno che i nostri cari, tornati dall’aldilà, avevano gradito la cena e che, ancora una volta, l’invito era stato accettato. Ma soprattutto al centro della tavola troneggiavano dei bellissimi regali ben confezionati che i nostri morti non mancavano mai di lasciare come ringraziamento ai bambini per quelle attenzioni tanto speciali. I nostri genitori, autori occulti dell’artificio, ci educavano così in modo magico e un po’ ludico ad imparare che i nostri morti, anche se non ci sono più fisicamente, non ci abbandonano, continuano a vivere nel nostro ricordo, pensano a noi con amore e ci premiano e ringraziano per non averli dimenticati. Questo rito assolveva però anche a una funzione ben più importante: quella di educarci ad un rapporto più sereno e anche giocoso con la morte, evitando quello che accade oggi nelle nostre società industrializzate e materialiste in cui non c’è tempo per pensare a queste cose. Oggi, infatti, la morte, così come la dimensione della malattia, sono allontanate da ogni rappresentazione e scomparse dalla realtà, in un malsano tentativo di rimozione collettiva. Salvo puntualmente irrompere in modo scioccante, proprio a causa di questa rimozione e impreparazione, con esiti traumatici e disastrosi. L’illusione di separare la vita dalla morte che ci accompagna ogni giorno è uno dei mali di questa nostra epoca. Il tentativo di rimuovere una semplice verità fallisce puntualmente e miseramente ogni volta che la vita ci porta in contatto con un lutto, anche quando come, nel caso di persone anziane, è naturalmente atteso. Ma il peggio è che non ci è consentita una sana e naturale elaborazione di queste separazioni perché, seppellito il congiunto, l’amico, il conoscente, tutto deve riprendere come prima senza disturbare e interrompere i ritmi dettati dalla produttività. E la rimozione è alla base di questo nuovo e insensato atteggiamento collettivo. Dunque via il pianto dei parenti e degli amici ricacciato in gola come segno di debolezza e inadeguatezza sociale. Via i manifesti e i necrologi, via i segni del lutto, via la sospensione di quei pochi giorni dalle cose ordinarie della vita, necessari a ripassare la nostra relazione con la persona che non c’è più, indispensabile per introiettare ciò che lascia in noi e che durerà per sempre. E soprattutto via la possibilità, per chi ci vuole bene, di abbracciarci, accudirci e consolarci in un modo speciale, mettendo per qualche giorno il nostro dolore al centro dell’attenzione di tutti perché venga amorevolmente accolto e curato. Chi subisce un lutto si ritrova così doppiamente solo perché portatore di una ferita che il mondo non vuole accogliere. Tutte le società per millenni hanno elaborato forme e rituali individuali e collettivi per lenire le ferite di chi resta e prosegue il cammino nell’esperienza della vita. Le diverse convinzioni di “vita oltre la morte” che vengono dalle filosofie e dalle religioni assolvono pienamente a questo scopo, indipendentemente da una impossibile prova. Ma di tutte le epoche la nostra è sicuramente la più insensata e inadeguata ad accogliere un evento semplice, naturale, inevitabile, che fa parte della vita stessa, e che alla fine, volenti e nolenti, riguarda tutti e tutto ciò che vive in questo universo. Ma la cui funzione e bellezza sta proprio nel conferisce alla vita stessa senso e valore.

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